Frammenti 2013: Riflessioni sul tema
FRAMMENTI 2013 – Riflessioni sul tema
Riflettendo sulla proposta del tema di quest’anno ci siamo resi conto di come sia ben più articolato del previsto il mondo che vogliamo fotografare. Come se servisse un obiettivo ben più ampio per dargli luce. Come se fosse riduttivo sintetizzare così tanti argomenti. E allora mentre continuiamo a discutere, pensare, progettare, programmare, parliamo di rivoluzioni, occupazioni. Parliamo di futuro, parliamo di generazioni, parliamo di cultura, di persone. Parliamo di bellezza, intesa come valore umano. Ci facciamo invadere da film, citazioni, libri e canzoni.
La tredicesima edizione di Frammenti rappresenta per il festival un nuovo inizio, un anno zero ed un punto di svolta sia dal punto di vista della tematica che degli obiettivi. Difatti la manifestazione di quest’anno eredita le riflessioni del precedente anno e ne trae una sintesi, per porre nuove basi e nuove occasioni di confronto. A differenza degli anni passati, nel 2012 l’edizione di Frammenti ha avuto un percorso particolare e insolito. In un periodo di crisi economica e culturale non è stato possibile realizzare un’edizione all’altezza di quelle precedenti. Ma per non perdere la continuità, l’associazione Semintesta ha deciso di rimettere in discussione i princìpi del festival per analizzare difficoltà e problematiche, ma soprattutto per trovare nuovi stimoli. Entrare in crisi per poter creare pensiero, distruggere per ricostruire. Ed è così che l’edizione 2012 ha preso il via, scorporandosi in varie tappe, ognuna con un tema da affrontare.
Frammenti 2012 è stato diviso in varie tappe:
(28-29-30 Settembre 2012 – Parco di Villa Sciarra) Delirare
Delirare inteso come superare il confine, il limite. Creare caos. Distruggere, disordinare tutto quello che è stato raccolto sin ora. Un piacevolissimo delirio, alla ricerca di una nuova armonia, nuovi significati.
(Novembre 2012) Immaginare
Un foglio bianco. Occhi chiusi. L’immaginazione non intesa come pura fantasia, ma come visione del “poi” del “dopo”. Immaginare per cambiare, per andare avanti.
(Gennaio 2013) Cercare
Dopo aver chiuso gli occhi per un po’, bisogna riaprirli. Cercare le cose e le persone che ci piacciono, immergerci in una sete continua di novità. Cercare la forma perfetta dell’immagine.
(Maggio 2013) Scegliere
Durante la ricerca si pongono davanti a noi dubbi, domande, incertezze. Cosa prendo, cosa lascio? E allora bisogna scegliere, selezionare. Scegliere una direzione, diventare più consapevoli.
Il tema della tredicesima edizione di Frammenti nasce proprio da questo percorso concettuale, e si ispira soprattutto a quest’ultima tappa, in cui è stata analizzata la tematica della scelta.
La scelta determina necessariamente il cambiamento. Nel momento in cui decidiamo e scegliamo di “essere il cambiamento che vogliamo nel mondo” avviene il cambiamento, un cambiamento prima di tutto in noi stessi. La scelta dell’associazione Semintesta è sempre stata quella di occuparsi di quegli aspetti che le sono vicini e determinare il cambiamento partendo dall’idea di spazio inteso come luogo di aggregazione. Semintesta vuole occuparsi e prendersi cura solo di quello che rende felici e liberi, della bellezza che deriva dalla condivisione profonda.
Il festival Frammenti vuole porre l’accento sulla scelta, ovvero sul momento esatto in cui avviene un cambiamento. Cambiamento che non nasce più dalla voglia di protagonismo ma dalla ricerca e dalla legittima pretesa di diritto. La scelta è un’operazione che nasce dal singolo, da un’esigenza diciamo “privata” ma che deve estendersi alla collettività al bene comune. E per l’associazione Semintesta, la scelta deve superare il sospetto, la difesa estrema del proprio orticello per guardare avanti. La scelta coinvolge tutti i soggetti che ci circondano e il cambiamento deve riguardare la socialità.
In questi anni numerosi sono stati i movimenti culturali, i comitati cittadini che hanno scelto di partecipare attivamente ai cambiamenti della nostra società, spesso incontrando la strenua opposizione delle istituzioni pubbliche, o comunque creando contrasto con chi dall’altro crede di poter scegliere per tutta la popolazione. Un esempio lampante è rappresentato dal movimento Occupy, una vera e propria corrente culturale che ha influenzato la cultura contemporanea.
The Occupy movement (in italiano: Movimento di Occupazione) è un movimento di protesta internazionale che si rivolge soprattutto contro la disuguaglianza economica e sociale. La prima occupazione di protesta a ricevere un’ampia copertura mediatica fu l’Occupy Wall Street nello Zuccotti Park di New York, che ha avuto inizio il 17 settembre 2011. Dal 9 ottobre le occupazioni di protesta hanno avuto luogo o sono ancora in corso in oltre 95 città di 82 paesi in tutto, e di oltre 600 comunità negli Stati Uniti. Dopo Occupy Wall Street, numerose sono state le moltiplicazioni di tale movimento, fino ad arrivare al più recente Occupy Gezi in Turchia. E proprio del movimento Occupy si sono occupati filosofi e intellettuali di oggi, alla ricerca delle radici della protesta. Così Chomsky: “Occupy Wall Street? “Se un anno fa mi avessero detto quello che volevano fare avrei risposto che era una follia. Non ci credevo e sbagliavo, sono incredibili. Ora però devono fare il passo successivo: una tattica non può diventare un movimento, deve fare un salto di qualità. Non dobbiamo aspettarci miracoli o cambiamenti istantanei, ma lavorare per il cambiamento sapendo che non lo vedremo.”
Sul movimento Occupy Gezi, interessante è la riflessione dei Wu Ming:
“Non è soltanto una battaglia ecologista, ma non è nemmeno una battaglia simbolica. Piuttosto, è l’ennesima dimostrazione di quanto siano sentite, oggi, in tutto il mondo, le lotte per quello che Henri Lefebvre ha definito il diritto alla città, ovvero il diritto a “cambiare noi stessi cambiando l’aspetto delle nostre metropoli”. Il diritto a partecipare ai processi di urbanizzazione e a non farsi strappare dagli speculatori il valore di un quartiere, di una piazza, di un parco. Quel valore, infatti, è il risultato di un lavoro collettivo, delle attività e delle relazioni sociali prodotte da chi vive un determinato spazio. Eppure viene mercificato e venduto – tot euro al metro quadro – proprio da chi intende stravolgere quello spazio senza nemmeno confrontarsi con la comunità che ha contribuito a dargli forma. Una dinamica di sfruttamento che non è tipica soltanto dei contesti urbani: più in generale, si potrebbe parlare di diritto al paesaggio. Ecco allora che la difesa di una piazza, di un parco, di una valle alpina non è mai soltanto locale o soltanto simbolica. Chiedendo di poter esercitare il proprio diritto al paesaggio, i manifestanti stanno già combattendo per la democrazia. Per quella democrazia che ormai è diventata incompatibile con il capitalismo e le sue inevitabili conseguenze: l’urbanizzazione selvaggia, la speculazione edilizia e il land grabbing.
mandateci i vostri spunti, le vostre riflessioni sul tema…